Presidio no Fud n.2

La Polenta Infinita di Pergine Valsugana è un particolare tipo di polenta estremamente gustosa e nutriente caratterizzata da un tempo di cottura molto lungo, che si aggira intorno ai 3 anni.

La ricetta tradizionale richiede che la rimestatura sia solo manuale (non sono ammessi i paioli motorizzati) e che la cottura avvenga sulla stufa a legna (il fuoco naturale dà alla polenta un aroma inconfondibile di lignite incombusta e di polonio radioattivo).

Di solito è la nonna che, in una mattina uggiosa di novembre, mette il paiolo sulla stufa, comincia a far bollire l’acqua e butta la farina, mescolando a mano con un bastone di pino cembro maschio di almeno cinquanta anni tagliato in una notte di luna nuova nel versante della montagna dove la luna non batte mai (comunque va bene anche un manico di plastica dell’IKEA).

Dopo alcuni giorni di mescolamento continuo giorno e notte, di solito l’anziana è stremata dalla fatica, preda di crampi ed embolie, e di lì a poco muore. L’opera di continuo rimescolamento (e continuo rabbocco di acqua) viene quindi proseguita dalle generazioni più giovani, lungo i 36 mesi di cottura.

Quando finalmente si alza la voce “l’è pronta”, di solito tutta la famiglia si lascia andare a urli e pianti di gioia, i vicini accorrono a vedere cosa è successo, la voce si sparge in fretta, il cappellano suona le campane, è grande festa per le strade, l’intero paesino di montagna corre a congratularsi con la famiglia che ha appena compiuto l’impresa, e la polenta lasciata abbandonata sul fuoco si attacca, brucia e diventa immangiabile, e viene gettata nel pastone dei porci insieme alle ghiande e alle bucce di patata.

Per questo motivo, nessuno riesce mai a mangiare un piatto della Polenta Infinita di Pergine Valsugana, che però si immagina buonissima, visto che i maiali la trangugiano volentieri.

L’unico modo di riuscire ad assaggiarla è di farla senza dirlo in giro, di modo che poi quando è ora di versarla non c’è nessuno che arriva in cucina a rompere i maroni.

Presidio no Fud n.1

No Fùd annuncia il riconoscimento del suo primo Presidio Alimentare: il Cappone Imprendibile di Quincinetto, prelibatezza e squisitezza infinitamente buona, o almeno supposta tale, allevato allo stato ruspante soprattutto a Quincinetto, grazioso comune in provincia di Torino.

Il Cappone Imprendibile deve il suo nome alla curiosa caratteristica di essere restio alla cattura e alla susseguente cottura con patate. Difatti esso è dotato di poderosi muscoli cosciali che gli danno una potenza di scatto fenomenale: l’allevatore (o contadino) che, dopo averlo allevato amorevolmente e rimpinzato di granaglie, lo rincorre per tirargli il collo, spesso soccombe per fiatone o colpo apoplettico o entrambi, mentre il Cappone Imprendibile se la spassa continuando il suo razzolamento ruspante.

La supposta estrema prelibatezza delle carni del Cappone Imprendibile viene fatta risalire all’esperienza di Bepi dal Butàl, unico uomo che è mai riuscito a catturare (e cucinare) un Cappone Imprendibile. Egli riuscì nell’impresa aprendo un peep-show per capponi, cioè attrezzando una trappola in cui i capponi entravano per vedere foto di capponcine nude: i Capponi Imprendibili, data la loro natura di castrati, sono di solito superiori a queste porcherie quindi di solito il trucco non funziona, ma per fortuna il Bepi possedeva l’unico Cappone Imprendibile Libidinoso, che quindi cedette al richiamo dei Bassi Istinti Materiali.